Recensione di A girl at my door di July Jung.
Presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2014, è un esordio sorprendente. Con protagoniste due grandi star del cinema coreano, Bae Doo-Na (Cloud Atlas, Sympathy for Mr. Vengeance, The Host) e Kim Sae-Ron (The Man From Nowhere), racconta la storia di due solitudini, due figure borderline, emarginate, la prima nel lavoro e nella società, la seconda nella famiglia e nella scuola. Bae Doo-Na è l’ispettore di polizia Young-Nam, trasferita da Seoul in una località sulla costa a causa della sua omosessualità; Kim Sae-Ron è la piccola Dohee, ragazzina picchiata dal patrigno e abbandonata dalla madre. In seguito all’ennesima violenza subita, la piccola troverà riparo e affetto presso la poliziotta.
A girl at my door inquadra sin dal titolo una dimensione di soglia, di confine (e di confino) da oltrepassare per poter incontrare gli altri e l’affetto in una società mascolina e patriarcale. A girl at my door è un film bellissimo e complesso, stratificato in più tematiche che si snodano intorno all’eterna contrapposizione tra Legge e Desiderio, o meglio tra Legge della società e Legge del cuore, dove la prima non comprende la seconda, dove addirittura chi cerca di far del bene viene scambiato, sulla base di un pregiudizio, per l’artefice di un reato, mentre chi esercita la violenza è in qualche modo difeso e tutelato. La Legge del cuore è clandestina, come vediamo nella bella scena-metafora in cui Young-Nam e un lavoratore indiano extra-comunitario stanno fianco a fianco in carcere. È una sorta di mondo capovolto, e per questo, purtroppo, tristemente vero e reale.
July Jung aggiunge quindi alla più classica famiglia disfunzionale del cinema coreano anche il tema dell’omosessualità, del pregiudizio, addirittura di una presunta pedofilia. Tanti temi scottanti per una storia che fa riflettere sul nostro rapporto con gli altri, ma soprattutto su come guardiamo gli altri. Una commistione di temi che inoltre, per fortuna, non sfocia in sterili morali finali.
A girl at my door è quindi un film palpitante, coinvolgente, ben diretto e ben recitato, un’opera che non cede al melò ma rimane (pro)tesa in un’indagine morale e spirituale che rispetta lo spettatore e non ne strumentalizza le emozioni. E forse, proprio per questo, ci fa un po’ male, perché ci guarda dentro, nelle pieghe del nostro essere uomini tra altri uomini.
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