Recensione A hard day di Kim Sung-hoon.
Un film che incarna alla perfezione quel frullato di generi cinematografici che contraddistingue nel profondo il cinema coreano. A hard day è un riuscitissimo mélange di generi, capace di amalgamare con grande fluidità, omogeneità, coscienza ed umorismo una situazione iniziale da crime movie con elementi da spassosa black comedy, per poi virare verso l’action e il thriller, il poliziesco e il chase film, in una caccia all’uomo doppia e incrociata, e una corsa contro il tempo in cui preda e predatore si scambiano più volte di posto.
Presentato nella Quinzaine des Realisateurs del Festival di Cannes 2014, oltre che al Toronto Film Festival, A hard day è un film estremamente divertente, che sa scherzare e giocare con la morte, tanto da cominciare con un morto e un funerale.
Giudicato dalla critica coreana come uno dei 10 migliori film del 2014, A hard day è un cristallino esempio anche di quel gusto iperbolico tipicamente orientale basato su un continuo rilancio della storia con nuovi espedienti narrativi, per lo più comici o tragi-comici, e il ricorso ad un villain che non muore mai, un uomo che tende al cyborg, una sorta di Terminator che solamente un sano e preciso colpo di pistola in testa può fermare.
Protagonista il bravissimo Lee Sun-kyun. Classe 1975, con all’attivo già più di venti film dal 2002 ad oggi, tra cui il noto Petty Romance (ri-leggi la recensione), è senza dubbio una delle punte di diamante del cinema coreano di oggi, ma anche di domani.