After my death di Kim Ui-seok: la recensione

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Recensione di After my death di Kim Ui-seok.

I suicidi tra gli adolescenti sono una vera piaga della società coreana. Un rapporto dell’Ocse del 2009 rileva come la Corea del Sud abbia il più alto tasso di suicidi al mondo, con 22 morti ogni 100mila abitanti (la media Ocse è di 18 morti ogni 100mila abitanti). Al suo film d’esordio, il coreano Kim Ui-seok sceglie proprio il più difficile dei temi per un’opera dura, ruvida, di un realismo secco, che non fa sconti sul dolore né fisico né psicologico.

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After my death guarda in faccia il disagio e il malessere di molti giovani coreani di oggi. E fa male anche allo spettatore, con uno stile sobrio e sadico, dal forte stampo indipendente, che non lascia scampo a mezzi sentimenti. Il film ci inonda col suo livore, tra riflessione e denuncia, pur risparmiandoci un finale inevitabilmente tragico ricorrendo ad una sequenza più simbolica che realistica, dopo le molteplici con le quali ci ha già scavato dentro a sufficienza. Ma After my death non vuole parlare solo dei suicidi tra giovani, e tra ragazze in questo caso specifico, ma anche di quanto una parola, detta in pubblico, possa ferire e lacerare l’anima di chi la subisce più di una lama affilata. Il risultato è il quadro di un’umanità che, in cerca di vendetta, giustizia e verità, non esita a finire presto fuori strada, condannando agli occhi degli altri chi colpevole, nella sua coscienza, non lo è del tutto.

Insomma, After my death si conficca in noi come un pezzo di vetro nel piede, fulgido esempio di cinema coreano che sa svolgere il proprio compito (e dovere) non solo cinematografico ma anche sociale.

After my death di Kim Ui-seok: la recensione ultima modifica: 2019-04-04T10:00:39+02:00 da Tommaso Tronconi

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