Recensione del film Bring me home con protagonista Lee Young-ae.
Quattordici anni di silenzio e di assenza dal grande schermo. Quasi quanti quelli trascorsi in prigione da Geum-ja, il personaggio di Lady Vendetta che nel 2005 l’ha resa celebre in tutto il mondo. È un grande ritorno quello di Lee Young-ae, coraggioso, intenso, nuovamente nei panni di una madre che stavolta non cerca vendetta, ma giustizia, anzi semplicemente ciò gli le spetta, ciò che è suo da sempre: il figlio scomparso da troppo tempo.
Presentato in prima europea al Florence Korea Film Fest 2020, Bring me home, scritto e diretto dall’esordiente Kim Seung-woo, è un film di grande potenza, visiva e narrativa, su un tema purtroppo all’ordine del giorno in Corea del Sud: bambini rapiti. Piccoli che vengono sequestrati, che un giorno scompaiono e spesso non vengono più ritrovati, il più delle volte sfruttati da qualche losco figuro in un angolo remoto del paese.
Pur essendo un debutto, la regia di Kim Seung-woo è già ampiamente strutturata, capace di tenere alta la tensione e anche il dramma, ma senza toccare picchi melò, anzi virando verso ciò che è più usuale al cinema coreano: il sangue. Bring me home è un thriller davvero palpitante, che nella lunga sequenza finale si lascia andare a scene violente che si conficcano nella diegesi e nei nostri occhi con lancinante precisione. Stupisce l’abilità del quarantenne regista nello scandagliare i fondali dell’animo umano, sia nel dolore sia nei suoi anfratti più cupi e spregevoli (come dimostrano i vari pescatori e la figura del poliziotto). Un risultato raggiunto anche grazie all’ombrosa ma nitida fotografia di Lee Mo-gae (I Saw the Devil e Illang).
Lee Young-ae è ancora una volta una madre tormentata ma mai doma, sfiancata dal tempo ma mai priva di quella speranza che solo le madri sanno covare e conservare nel proprio cuore. Un personaggio difficile, doloroso, che il volto della (mai) ex lady vendetta incarna con convinzione, dietro una bellezza pressoché inalterata dagli anni che passano. Un grande personaggio femminile, che sa farsi ricordare, tanto da comporre, insieme al capolavoro di Park Chan-wook, quasi come un dittico sulla figura materna.