Il potere magnetico del fuoricampo.
Brother di Takeshi Kitano vive del torbido, misterioso, viscido appeal di quell’Invisibile nascosto oltre le quattro linee di confine del quadro. Il nostro occhio, sin dalle primissime immagini, è morbosamente affascinato dalla ricerca di ciò che non si mostra, pur cosciente d’approcciarsi ad una ricerca destinata a rimanere insoddisfatta. Ed è questa la prima grande trovata del maestro giapponese, che rende la sua opera degna dei manuali di cinema. Lo stesso Kitano è il sornione e introverso protagonista dotato di una straordinaria e minimalista mimica facciale interrotta da nerissimi occhiali rotondi.
Nella regia spicca uno scrupoloso e curioso uso della soggettiva, capace di propinarci primi piani frontalissimi e personaggi mostrati nella loro interezza come cavalieri senza testa, poiché mozzata dall’inquadratura.
Dietro questi tecnicismi va in scena la silenziosa efferatezza della mafia orientale, fatta di pistolettate improvvise che dipingono floreali chiazze di sangue su vetri e pareti. Brother di Takeshi Kitano è un pulp che si protende vertiginoso verso uno splatter mirato e artistico. Un film da vedere per scoprire il vero significato del termine “regia”.
La sequenza indimenticabile: la sparatoria notturna in un ampio cortile, le cui tenebre si squarciano con l’eccessivo brillio dei colpi di revolver delle due gang di turno.