Recensione di Burning – L’amore brucia di Lee Chang-dong.
Sono passati otto anni dal suo ultimo film, Poetry (ri-leggi la recensione), una vera poesia per immagini. Dopo così tanto tempo, Lee Chang-dong, uno dei più amati registi coreani, torna con Burning – L’amore brucia, un’opera sfaccettata, multiforme, che contemporaneamente vuole essere pezzo unico (e raro) ma anche punto di convivenza di più anime e generi. E forse è proprio in questa ambivalenza che Burning – L’amore brucia non riesce del tutto, lasciando lo spettatore tanto affascinato quanto interdetto.
Due ragazzi e una ragazza. Un triangolo amoroso che vive del non detto e del non mostrato. Con una dose di mistero che via via si fa sempre più massiccia, fino ad alterare la relazione amorosa in morbosa e criminale. Burning – L’amore brucia, nell’idea di Lee Chang-dong, è un thriller non thriller, un thriller nei contenuti ma non nei modi. Mystery e melodramma al contempo (dipende da quale prospettiva lo si guarda), a tratti hitchcockiano e a tratti polanskiano, è un film che “brucia”, come dice lo stesso titolo, intorno a sentimenti e situazioni che si compiono e sciolgono improvvisamente, con ellissi capaci di generare suspense e inquietudine.
Burning – L’amore brucia cambia pelle in corsa, indossando anche il mantello di dramma sociale, dove intorno all’amore di una giovane donna si confrontano due realtà lontane, due classi sociali opposte, dove l’una cerca di prevalere sull’altra, proprio come accade tra due pretendenti in amore. Giunti al finale, il film tira fuori il lato più oscuro dell’uomo, in particolare di giovani identità alla ricerca del proprio posto nel mondo, che si interrogano ogni giorno sul senso da dare alla propria vita. Burning brucia, come le “serre” vittime di uno dei protagonisti, ma è quasi una autocombustione, che lascia lo spettatore in un senso di irrisolto che sfiora il non-sense della vita.