Recensione di City on Fire di Ringo Lam.
City on Fire di Ringo Lam è spesso ricordato e associato a Le iene di Tarantino, per il fatto che quest’ultimo (pare) abbia copiato alcune parti del film di Hong Kong, in particolare il triello finale e la confessione del poliziotto. Accuse di presunto plagio alle quali Tarantino ha sempre risposto in modo provocatorio con la celebre frase “I bravi artisti copiano, i grandi rubano” che lo etichetta come uno dei più sofisticati, cinefili e nerd “ladri di film”. Ma parlare di City on Fire solo in questi termini, solo come paragone di un altro grande film, è semplicemente e semplicisticamente sbagliato, perché non rende merito al film orientale.
City on Fire certamente ha influenzato molto cinema occidentale, Tarantino su tutti appunto, in primis nell’uso e nella “messa in mostra” del sangue e della violenza (si pensi solo alla sequenza iniziale). È un film che, come molti del genere di provenienza asiatica, dà il suo meglio nelle scene d’azione o con sparatorie o comunque dove il livello di adrenalina tende a salire. Si siede invece nella “normale amministrazione” della linea narrativa del film, pur regalandoci momenti comici in cui il gangster di turno non si vergogna a mostrarsi dolciastro e infantile (ma questa è una prassi in tanto cinema orientale, soprattutto giapponese).
City on Fire, visto con gli occhi di oggi, degli anni Duemila, ha delle indubbie lentezze, che però contraddistinguono parecchio cinema (e questo anche nel cinema americano) degli anni ’80 e ’90. Al netto di questo, è un film di grande personalità, che non esita a ricorrere agli stereotipi, anzi ci pesca a piene mani. Come dicevo, il suo lato migliore emerge nelle scene action, che ricordano molto quelle del cinema del collega John Woo.
City on Fire è quindi un film imprescindibile quando si parla di gangster movie asiatico, un vero must, del quale oggi vanno colti e sottolineati i punti a favore, anche se quelli che ci fanno storcere il naso a prima vista sembrano più evidenti.