Recensione di Human, space, time and human di Kim Ki-duk.
Scritta da Pietro Braccio.
Solo l’idea della nave volante si salva in Human, space, time and human dell’acclamato e sempre più discusso e divisivo Kim Ki-duk. Tutto il resto, è un autentico naufragio.
Un regista irriconoscibile. Sia paragonato ai film girati nei primi anni Duemila, sia paragonato anche al precedente, Il prigioniero coreano (ri-leggi la recensione), fulmine a ciel sereno per la lucidità con cui guardava alle due Coree. Human, space, time and human ha una bella idea di base, ma è tutta la messinscena che non regge. Regia, recitazione, fotografia e sceneggiatura sono anonime, televisive, sfilacciate. Kim Ki-duk non trova l’ispirazione per dare forma ad una parabola sull’uomo che, pur con tante inevitabili banalità, poteva comunque trovare una via per toccare, o forse urtare, la sensibilità della spettatore. Il quale, invece, viene violentato dalla pochezza imperante che ricopre tutto il film.
Recensione One on one di Kim Ki-duk
Uomo, spazio, tempo e di nuovo uomo. Quattro atti che cercano di dare sostanza e coerenza, o più semplicemente un filo, ad una sorta di mito antico e moderno sull’indole dell’umanità. Una specie cattiva, violenta, marcia fin nel midollo, che in nome del potere, del denaro e della sopraffazione sacrifica ogni parvenza umana. Il cannibalismo di cui si macchiano i protagonisti è lo stesso approccio su cui cerca di crescere il film. Human, space, time and human cerca di cibarsi di se stesso, ma addentare il vuoto è impossibile e il film si fa sempre più piccolo, sperduto, incompiuto.
Il risultato finale è un film che non lascia spazio né tempo ad ancore di salvataggio, affondando sempre più in un oceano di nulla che fagocita e non lascia scampo, abbandonando chi guarda a quel sentimento di sconforto di chi non sa dove sbattere la testa.