Recensione di Il caso Minamata con Johnny Depp.
Ci voleva un film ambientato in Giappone per rilanciare Johnny Depp e ricordarci quanto è bravo. Infatti, al netto degli eccessi di una vita da (vera) star e della discontinuità di buoni lavori nella sua filmografia, Johnny Depp si dimostra all’altezza di una storia importante e di un personaggio di peso.
Il caso Minamata ha al centro la tragica vicenda dell’inquinamento ambientale perpetrato da un’industria chimica giapponese e delle centinaia di persone che si sono gravemente ammalate. Eugene Smith, noto fotografo della rivista Life, negli anni del suo tramonto artistico, viene inviato a Minamata per documentare i casi di avvelenamento e denunciarli a tutto il mondo.
Il caso Minamata è una true story dall’impianto classico e per questo solido. Pur non brillando di momenti particolarmente intensi o toccanti, il film sa però toccare le giuste corde emotive dello spettatore. La vicenda ci colpisce nel vivo se consideriamo quanto il tema dell’inquinamento ambientale sia più attuale che mai (vedi il recente movimento dei Fridays for Future). Dopo l’efficace Cattive acque, Il caso Minamata è un altro film che grida denuncia senza ricorrere a eccessi narrativi o facili strumentalizzazioni. La fotografia, e il potere comunicativo di quest’ultima, sono l’arma con cui (di)mostrare alla comunità internazionale i crimini commessi dalle grandi aziende a discapito della salute naturale e umana.
Ma Il caso Minamata è soprattutto il grande ritorno di Johnny Depp nei panni di un personaggio che, per gli eccessi alcolici, in qualche modo l’attore ha sentito certamente vicino a sé e ai suoi trascorsi violenti di carattere domestico e matrimoniale. Una performance precisa, intensa, senza particolari stonature, capace anche di momenti teneri, che ci ricordano come Johnny Depp sia ben di più del capitano Jack Sparrow e più di un “animale” da copertina gossip.