Recensione di Illang – Uomini e lupi di Kim Jee-woon.
“La cosa peggiore è che in realtà non sappiamo chi dobbiamo odiare” afferma uno dei personaggi del film. Ed è lo stesso amaro e rabbioso sentimento che proviamo noi una volta arrivati in fondo a Illang di Kim Jee-woon, versione live action, distribuita da Netflix, del noto Jin-Roh di Mamoru Oshii. L’impressione, palese e cocente, è quella d’aver sprecato una grande occasione per un’opera che poteva avere una forte connotazione politica e che invece la trascura pressoché totalmente (in)seguendo la pista di un action movie galoppante, acrobatico, certamente d’effetto.
Il problema è che Illang la zappa sui piedi se la tira da solo. E lo fa dalla sequenza iniziale, in cui sottopone allo spettatore uno spaccato geopolitico futuro (abbastanza vicino in realtà, il 2029) in cui le due Coree si sono momentaneamente fuse in un’unica nazione e dentro e fuori di essa soffiano venti che spingono verso la loro separazione. Insomma, rispetto a molti film che il cinema coreano ha partorito sulla “questione” delle due Coree (alcuni li trovate in questo post), non ultimo il riuscito Steel Rain (disponibile sempre su Netflix), Illang ha inizio da uno status quo che non punta all’unificazione, ma da uno in cui questa si è già concretizzata. Un grosso passo in avanti, anche piuttosto coraggioso, per un cinema coreano che da qualche anno sembra avere le idee chiare in merito a questa spinosa faccenda. Illang, però, quasi inspiegabilmente, dopo aver gettato il sasso, nasconde la mano, e si rifugia dietro la maschera di un film d’azione. Sia chiaro, fatto molto bene (come i coreani sanno fare da anni!), ma così azzera e appiattisce ogni contenuto e spessore politico che avrebbe dato una linfa nuova e una fisionomia originale ad un film che, dietro una grande spettacolarità, ha ben poco.
Intervista a Kim Jee-woon: “Sono lo strano del cinema coreano”
Ed è strano, perché Kim Jee-woon, pur essendo un regista che non ha più da (di)mostrare il suo talento a nessuno, con il precedente The Age of Shadows si era già confrontato con successo con la Storia coreana, sottolineando il valore politico delle gesta dei suoi avi calandole nella griglia della spy story. Illang, invece, è un film che gli sfugge di mano, riducendo banalmente fazioni politiche opposte, terrorismo compreso, in una guerra tra bande, una sorta di guardie e ladri che si cercano e si uccidono come in un poliziesco serratissimo. Personaggi di caratura politica ridotti alla stregua di assassini che vogliono eliminarsi l’un l’altro in nome di un ideale politico confinato sullo sfondo.
Certo, Kim Jee-woon ci consegna alcune sequenze assolutamente coinvolgenti, come a dire “sono io il non plus ultra del cinema asiatico d’azione!”. Ma queste anestetizzano e mascherano una pochezza e un’incertezza contenutistica che balza agli occhi fin troppo presto. Insomma, per dirla tutta, se non si fosse sperticato in quella “intro” che inquadra un film che in realtà non vedremo mai, ne sarebbe uscito con le ossa meno rotte. Peccato che quel film noi lo volevamo davvero vedere. E avrebbe avuto anche tutte le carte in regola per ritagliarsi un posto di riguardo nel grande cinema coreano contemporaneo.
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