Recensione di Intimate Strangers di Lee Jae-kyoo, remake dell’italiano Perfetti sconosciuti.
“Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata e una segreta.”
Fare un remake è tutt’altro che semplice, non è da tutti, a suo modo è un’arte. Perché “rifare” non significa solamente operare un mero copia-e-incolla, ma introdurre nelle pieghe di una sceneggiatura già rodata elementi di fedeltà affiancati da elementi di novità, apportando qualcosa in più e di diverso che dia valore e significato alla copia stessa. Non a caso, nella storia dell’arte, le copie dei quadri non sono mai davvero tali, c’è sempre qualche neo, qualche “easter egg” diremmo oggi, qualche particolare che dà (un rinnovato e insolito) sapore.
Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese è stato il caso cinematografico dell’anno 2016 in Italia, superando i 16 milioni di euro al botteghino (secondo miglior incasso dell’anno per il cinema italiano dopo Quo vado? di Checco Zalone), vincendo due David di Donatello tra cui Miglior Film e Migliore Sceneggiatura. Premi semplicemente meritatissimi, per non dire sacrosanti. Sono quindi piovuti dal cielo remake in ogni parte del mondo, dalla Spagna con la regia di Alex de la Iglesia alla Francia con Fred Cavayé, dalla Turchia (con produttore Ferzan Ozpetek) all’India, dal Messico fino addirittura alla Russia. In Oriente, Cina e Corea del Sud non si sono fatte pregare. Quest’ultima ha sfornato Intimate Strangers, diretto da Lee Jae-kyoo. Peccato che il risultato sia uno sterile compitino ben fatto ma che nulla aggiunge alla sceneggiatura italiana né riesce a coinvolgerci in alcun modo.
Dicevamo che il remake deve in qualche modo ri-elaborare qualcosa di pre-esistente mettendoci qualcosa di “personale”. In Italia, un ottimo esempio è stato Il nome del figlio di Francesca Archibugi, adattamento nostrano del riuscitissimo e spassoso film francese Cena tra amici; a livello internazionale, Suspiria di Luca Guadagnino, che metteva mano all’omonimo mostro sacro diretto da Dario Argento nel 1977, ha osato (e non poco) tanto da suscitare polemiche. E ben vengano, quest’ultime. Almeno la “copia” assolve al proprio ruolo di non passare nel silenzio o lasciarci indifferenti.
Dal cinema coreano, così abile nel mischiare i generi, nell’amalgamare registri differenti sotto uno stesso tetto, nell’inserire note di sangue anche in commedie per il grande pubblico, ci si aspettava molto di più. Perché a sorpresa (negativa!) Intimate Strangers è una sbiadita copia esatta del film italiano. Il regista Lee Jae-kyoo aggiunge solo un inutile “prefazione” coi protagonisti maschili da piccoli, intenti a pescare su un lago ghiacciato, che poi non trova nessi né significato nel resto dello sviluppo narrativo.
Intimate Strangers rimane ‘straniero’ e ‘sconosciuto’ allo stesso cinema sudcoreano, come una meteora che passa e della quale nessuno s’accorge. Anche perché non affonda minimamente le sue radici narrative nella società coreana, e quindi non riesce a trovare il proprio “posto nel mondo”. Che delusione!