Recensione di Kingdom di Kim Sung-hoon, serie disponibile su Netflix.
Non potevano essere che i coreani, maestri del cinema contemporaneo nel mischiare i generi, a unire due mondi così lontani come lo zombie movie e il film storico in costume. Non a caso, sono due generi nei quali hanno dimostrato di eccellere: il primo, negli anni più recenti, con quel capolavoro di Train to Busan; il secondo, lungo tutti gli anni Duemila, con film che sono pilastri della loro cinematografia (tra i tanti, ne cito alcuni: War of the arrows di Kim Han-min, Masquerade di Choo Chang-min, Roaring currents di Kim Han-min, Kundo: Age of the Rampant di Yoon Jong-bin, The Fortress di Hwang Dong-hyuk, The Throne di Lee Joon-ik).
Kingdom è un riuscito pastiche di genere e di generi, per di più “traslato” nella forma della series che tanto va di moda e piace in Corea come a livello internazionale. Produzione originale Netflix, vede la regia di uno dei più amati registi coreani, Kim Sung-hoon, passato alle luci della ribalta (e a Cannes) con l’apprezzatissimo A hard day (non a caso anch’esso è un saporito frullato di generi, ri-leggetevi la recensione). Ulteriore elemento che non poteva che portare ad una prima stagione assolutamente convincente.
Ambientato nell’era Joseon (assai frequentata dal cinema coreano), vede protagonista un principe impegnato a salvare i suoi sudditi durante una pestilenza che trasforma la popolazione in zombie. Su questo plot, solo all’apparenza esile, Kingdom si struttura come un mélange ben confezionato, allo stesso tempo opera d’autore e d’intrattenimento. Lo spettatore si trova di fronte a qualcosa di più unico che raro, e non può che farsi trascinare dalla curiosità, divorando letteralmente la serie (composta da soli sei episodi). Il finale è apertissimo, tanto che questa prima stagione pare più una sorta di assaggio, di prequel addirittura, che potremo saziare solo con la seconda (che speriamo arrivi presto!).