Kundo – Age of the Rampant di Yoon Jong-bin è un western alla coreana, capace cioè di mischiare i più svariati generi cinematografici, citando capolavori e cult ambientati nel lontano West e registi occidentali che hanno reso grande il genere, trasportando tutto e tutti in un lontano 1862 che profuma di età imperiale.
Kundo – Age of the Rampant è un divertente pastiche che fa dell’action il suo punto di forza. Al regista Yoon Jong-bin (Nameless Gangster) non interessa, almeno in prima battuta, (di)mostrarsi “autore” nel senso moderno del termine. Il suo è un grande omaggio, sentito e riuscito, a quel genere nato dall’altra parte del mondo e amato anche ad East (già Kim Jee-woon ci aveva provato con Il buono il matto e il cattivo).
Kundo – Age of the Rampant fonde il western, in particolare lo spaghetti western, al più elegante e spettacolare cappa e spada e alle più simpatiche arti marziali (Taekwondo coreano e Kung-fu cinese). Incontriamo così zoomate alla Sergio Leone, titoli dei capitoli filmici come in Kill Bill e presentazioni dei personaggi con fumettistici frame-stop come nel migliore Tarantino, leggiadri combattimenti in aria come ne La tigre e il dragone e ambientazioni boschive alla Foresta dei pugnali volanti. Poi c’è la mitraglia(ta) del Django di Corbucci, galoppate di silhouette all’orizzonte come nei Magnifici Sette e cavalcate a tutta briglia come in Ombre rosse. C’è poi qualcosa di Robert Rodriguez (ad esempio Machete nel personaggio del macellaio), ma senza tocchi pulp o tantomeno splatter. A legare il tutto, una colonna sonora che riecheggia quelle di Ennio Morricone per i film di Leone, in particolare il graffiante e ipnotico leitmotiv dell’armonica suonata da Charles Bronson in C’era una volta il West.
Insomma, Kundo – Age of the Rampant, dietro un plot di base che richiama palesemente alle gesta di Robin Hood, non è solo un film su un manipolo di fuorilegge che ruba ai ricchi per dare ai poveri. Anzi, lo è solo in minima parte. Kundo – Age of the Rampant è una grande storia, di onore e riscatto, che, transitando per l’(auto)ironia, tende nel finale a diventare un sano ed epico film sulla lotta di classe, o quantomeno una lotta in nome della giustizia.
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