Correva l’anno 1999 quando il cinese Zhang Yimou vinse il Leone d’oro al 56esimo Festival di Venezia con Non uno di meno. Ecco, sin dalle prime sequenze Little Big Master richiama alla mente quel piccolo grande film. Di anni ne sono passati, ma i tempi sembrano non essere cambiati. Almeno nelle zone rurali e di provincia della Cina, dove esistono ancora piccole realtà scolastiche che lo Stato vorrebbe chiudere se non fosse per la buona volontà di chi decide di prendersi cura degli ultimi tra gli ultimi.
Little Big Master, tratto da una storia vera, si tinge dei colori sgargianti della commedia per raccontarci una realtà drammatica: quella dei bambini che, nelle zone più sperdute e disagiate, abbandonano la scuola per assenza di insegnanti o per aiutare i genitori nel lavoro. Per fortuna esistono ancora personalità come quella di Lui Wai-hung, maestrina di campagna, Don Lorenzo Milani al femminile, che non esita a dedicare tutta se stessa ad una manciata di piccoli allievi fino a rimetterci di salute.
Little Big Master coinvolge, frutto in primis di una sceneggiatura ben scritta, dove pur con sviluppi palesemente prevedibili, anzi proprio al limite della banalità, riesce ad entrare in empatia con uno spettatore volontariamente disposto a commuoversi. Sì, perché Little Big Master ha il compitino (a casa) di farci piangere e di strapparci lacrimoni senza andare troppo per il sottile. Lo fa con costanza quasi scientifica e noi stiamo lì come bravi pazienti che sanno che qualche emozione in più, anche un pochino telefonata, non potrà certo farci male (al cuore).