Dicesi ‘lucid dream’ un sogno durante il quale il sognatore è consapevole del sognare. Durante il sogno lucido, il sognatore può essere in grado di esercitare un certo grado di controllo sui personaggi, sulla narrativa e sull’ambiente dei sogni. Il che, da un certo punto di vista, altro non è che il cinema stesso.
È su questo spunto che si struttura Lucid Dream di Kim Joon-sung. A cavallo tra fantascienza, mystery e thriller, è senza dubbio un buon debutto dietro la macchina da presa.
Chi ha rapito il figlio di Dae-ho, noto giornalista d’assalto? Dopo tre anni di ricerche e processi, la verità non è ancora venuta a galla. Ma Dae-ho non si è arreso e un giorno decide di ricorrere alla onironautica. Anche con l’aiuto di un detective e di una brava dottoressa, comincerà un viaggio nel mondo dei sogni che lo porterà ad una scoperta finale assolutamente inaspettata.
Pur con una partenza un po’ incerta e banale, che non lascia ben sperare per il proseguo della vicenda, Lucid Dream si dimostra invece un thriller teso e avvincente, in cui sulla lunga distanza è la sceneggiatura a fare la differenza. Sì, perché l’intreccio si fa sempre più complicato, tirando in ballo nuovi personaggi e nuovi dettagli che aprono via via nuove porte e nuove possibilità narrative. Lucid Dream acquista quindi ritmo e trae forza dai suoi due interpreti principali, Sol Kyung-gu e Go Soo.
Con Lucid Dream il cinema coreano dimostra di saper creare un prodotto suggestivo e maturo andando a pescare in un territorio, quello di Inception di Chris Nolan, sul quale invece era facile scivolare. E invece no, pur cosciente che la mente dello spettatore possa virare presto verso il noto film americano, Lucid Dream mette in campo tutto il suo coraggio e orgoglio per generare un’opera e un finale degni di più di un misero applauso.