Recensione di Forgotten del regista coreano Zhang Hang-jun.
Un giovane viene sequestrato e tenuto in ostaggio per diciannove giorni. Una volta liberato, e tornato a casa, non ricorda nulla di quanto successo in questo arco di tempo. Il fratello minore, ossessionato da allucinazioni e incubi, vuole vederci chiaro e scoprire cosa realmente si nasconde dietro al rapimento. Ma la verità non è cristallina come sembra. Niente è sicuro, niente è definitivo. L’unica cosa certa di Forgotten di Zhang Hang-jun, produzione originale Netflix per i mercati internazionali, è che siamo di fronte ad uno dei migliori thriller coreani degli ultimi anni.
Teso, stratificato, con una sceneggiatura che non teme i capovolgimenti di fronte, Forgotten è un film che riassume in sé l’abilità del cinema sudcoreano di mischiare i generi cinematografici e d’intrattenere lo spettatore con qualità e quantità.
Forgotten non dimentica neppure per un istante chi è, nonostante ai suoi personaggi accada di perdere la memoria e dover lavorare di fino a livello psicanalitico per ri-trovare il bandolo che conduca alla ricostruzione della verità. Strutturato a scatole cinesi che, col procedere del film, ci mostrano a ritroso quanto accaduto, è un thriller psicologico ad alto coinvolgimento che gioca coi ricordi sul filo di una suspense che non si spezza mai.
Forgotten è un “doppio” film, poiché ci racconta due storie, intrecciate, sovrapposte, imparentate intorno ai concetti di memoria e verità. Due storie dove l’una è l’alter ego dell’altra, l’opposto, il rovescio della medaglia. Ma può esistere solo una delle due, quantomeno nella sfera della verità.
Con un inizio sereno da commedia dei sentimenti, ma virando ben presto verso passaggi da mystery e altri degni dei migliori horror orientali, Forgotten è un film da vedere, di quelli che, a differenza di quanto dica il titolo, non si fanno dimenticare facilmente.