Saturday Fiction di Lou Ye: recensione

Saturday Fiction di Lou Ye

Recensione di Saturday Fiction di Lou Ye.

Un film importante e difficile, tra spy story e love story, ambientato alla vigilia dell’attacco dei giapponesi a Pearl Harbor nel dicembre 1941. Saturday Fiction è un’opera complessa, sfaccettata e stratificata, che tira in ballo lo spettatore mettendone in gioco l’attenzione tra una prima parte per niente facile da seguire e una seconda dove la violenza esplode sfiorando l’action.

Lou Ye è un regista ribelle in Cina, che torna a puntare il suo sguardo nitido e impavido sulla realtà storica e sociale del suo Paese. Ma Saturday Fiction pare affetto dallo stesso difetto cronico che dilaniava uno dei suoi film precedenti, Summer Palace: la regia non è all’altezza della grandezza delle vicende narrate.

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Saturday Fiction mischia così tanto le carte da perdere se stesso. Lou Ye, articolando in modo fin troppo fascinoso e vanitoso la messa in scena, costantemente in equilibrio instabile tra finzione teatrale e cinematografica, smarrisce il centro del film, che in più passaggi appare confuso, sbandato e sonnacchioso. Il ricorso alla macchina a mano e l’abuso di primi piani che puntano tutto sui corpi degli attori fanno perdere il baricentro ad un’opera che aveva tutte le fattezze per essere un grande film.

Lou Ye tira troppo la corda, come palesa anche il bianco e nero denso ma sfibrato, appiattito e devitalizzato, che non dà man forte ad una buona sceneggiatura però incapace di gestire i suoi molteplici fili narrativi. Insomma, Saturday Fiction incappa nell’auto-sabotaggio, trasgredendo ad una di quelle regole che ogni spia, e cineasta, dovrebbe ben tenere presente per non incorrere nell’autolesionismo.

Saturday Fiction di Lou Ye: recensione ultima modifica: 2019-09-06T16:45:53+02:00 da Tommaso Tronconi

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