Recensione di The Call di Lee Chung-hyun, disponibile su Netflix.
Il telefono è da sempre uno “strumento” amatissimo nei film, veicolo di paure, killer, presenze inquietanti, fantasmi dal passato. E sembra averlo capito bene The Call di Lee Chung-hyun, film coreano disponibile su Netflix. Una ragazza nel presente e una nel passato, una cornetta che squilla, la linea del tempo che prende una nuova piega. Gli elementi per un buon thriller, con scorci horror, ci sono tutti. The Call, però, perde presto il baricentro e finisce per andare fuori strada. Che peccato…
The Call è un film che confonde i concetti di “complesso” e “complicato”. Infatti, parte complesso, quindi ricco di spunti di interesse, e finisce per trasformarsi in complicato, inutilmente, legandosi le mani da solo intorno ad un eccesso di ralenti al contrario che stuccano presto proprio come la linea narrativa che perde la propria identità minuto dopo minuto.
The Call, esordio al lungometraggio di un regista giovanissimo (classe 1990), si muove intorno a giochi temporali che piacciono molto al cinema made in Korea, e pur con una regia vibrante e ritmata, paga pegno per una sceneggiatura che si complica la vita da sola e finisce per confondere lo spettatore e ridurne il coinvolgimento. Un debutto che poteva lasciare il segno e che invece, come affetto da una certa ansia da prestazione della prima volta, non rimane impresso poiché troppo concentrato a voler lasciare fin troppe orme.