Recensione The day he arrives di Hong Sang-soo: una piccola grande riflessione sul tempo, che passa e si ferma, tra sogno e realtà.
Eravamo quattro amici al bar. Ma quante volte siamo entrati in quel bar? Quante volte Seong-joon ne bacia la proprietaria, sosia della sua ex fidanzata? E quante volte il protagonista suona il pianoforte? È il tempo il grande sconosciuto di The day he arrives di Hong Sang-soo, regista che ha fondato tutta la sua poetica su personaggi semplici, incroci quotidiani, sospesi tra l’unicità del reale e la ripetizione dell’onirico. Gli eventi si sono svolti più volte o siamo di fronte ad una sorta di strano e straniante butterfly effect? Hong Sang-soo ci nega la risposta, perché in questa atmosfera di non-tempo si situa il suo originale e simpaticissimo modo di fare cinema.
L’idea di base di The day he arrives ha qualcosa di banale ed incredibile: un giovane e semi-sconosciuto regista si reca a Seoul per far visita a un amico. Ma non trovandolo, inizia a girovagare per la città: è l’inizio di uno spaccato di tempo da riempire. È così che s’imbatterà più e più volte in una sua amica attrice, andrà a far visita all’ex fidanzata, brinderà con dei ragazzi appassionati di cinema e finalmente incontrerà il suo amico, Young-ho, in compagnia di una donna affascinante.
In The day he arrives Hong Sang-soo, pur non rispettando lo scorrere lineare del tempo, cerca di immortalarlo tramite lunghi piani-sequenza in cui i personaggi s’incontrano, parlano del più e del meno, di cosa fanno o non fanno, tra un bicchierino di troppo e una parola di meno. La macchina da presa li osserva, zooma e poi si ri-allontana, come a dire “ci sono anch’io!”, ma nessuno la vede. È un po’ come se stessimo sognando, vediamo ma non siamo visti, e gli eventi, come annebbiati dai fumi di un whiskey fuori programma, si confondono, riportandoci sul “luogo del delitto” svariate volte. A questo si aggiunge la neve, che cade leggera, e un bianco e nero che detemporalizza ogni cosa. E allora perdersi è un dolce naufragar…
The day he arrives è quindi un esempio di cinema raro da trovare, che dietro un’apparente nullità di fatti nasconde una curiosa e ricca riflessione sul tempo, mettendoci, allo stesso tempo, al centro della scena ma privandoci dei riferimenti per poterla comprendere e attraversare.
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