Recensione The Millennial rapture (2013) di Koji Wakamatsu.
The Millennial rapture (2013) di Koji Wakamatsu è un film vuoto, esile e sterile. Due ore lunghe una vita, mitigate solo dai bei paesaggi mostrati e da alcuni tocchi di regia.
Se avete bisogno di una trasfusione di sangue, non rivolgetevi alla stirpe dei Nakamoto. I loro globuli rossi sono infetti da un destino funesto che conduce ad una morte giovane e dolorosa. E voi, donne, state lontane da questi maschietti orientali: sono degli incorreggibili sciupafemmine.
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Tra paesaggi eremitici di grande fascino e bellissimi cuculi volanti come piccioni viaggiatori tra il mondo dei viventi e l’oltretomba, The Millennial rapture (Sennen No Yuraku) è un film bizzarro nella sua totale vacuità e inconsistenza. Tutta la vita passa davanti agli occhi di una storica levatrice del villaggio, che ci conduce in un amarcord sulle (dis)avventure sessuali dei piccoli che ha aiutato a nascere, ora fascinosi latin lover. Una vita piena che però si mostra al pubblico come assolutamente piatta perché imprigionata in una regia anonima, statica, fatta quasi con mezzi di fortuna, e schiava di una sceneggiatura ingessata, che (s)cade più volte nel ridicolo e nel doppio senso (sineddoche ne la frase, assolutamente volgarotta, “Prima o poi anche tu griglierai il mio fungo”). Tradotto in italiano come “Mille anni di estasi”, The Millennial rapture (Sennen No Yuraku) è due ore di pura noia. Lunghe, a pelle, mille anni. Insomma, una grande delusione per chi ha amato Caterpillar.
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