Il prigioniero coreano di Kim Ki-duk: recensione

Recensione del film Il prigioniero coreano di Kim Ki-duk.

Sono passati più di quindici anni da JSA – Joint Security Area di Park Chan-wook. Eppure, oggi più che mai, il cinema continua ad interrogarsi sull’unificazione/divisione delle due Coree. A farlo è anche la bandiera indiscussa del cinema coreano, il regista Kim Ki-duk. Il quale dopo gli ultimi film incentrati su una violenza principalmente fisica, adesso passa a quella psicologica. Protagonista è sempre la sua terra natia: la Corea del Sud.

Se in One on one non emergeva certo una fotografia positiva del suo Paese, governato da violenze e vendette quotidiane su più livelli della scala sociale, in Il prigioniero coreano (The Net) il quadro è per certi versi ancora più cupo. Protagonista del film è un pescatore della Corea del Nord che, causa un problema al motore della sua barca, sconfina al Sud, pagando a caro prezzo sulla sua pelle il ginepraio di interrogatori e soprusi “tipici” della sicurezza nazionale di quello che dovrebbe essere un Paese civile.

In Il prigioniero coreano (The Net), la rete non è solo quella che porta fuori rotta la barca del pescatore, ma soprattutto quella inestricabile di sospetti e dubbi, che tra innocenza e tradimento viene riservata allo straniero, additato come spia e invasore anche quando non lo è.

Il più recente Kim Ki-duk non è mai stato generoso né conciliante nei confronti del suo paese. E anche in questo caso non ha fatto sconti. Anzi, alla fine della fiera, la Corea del Nord, pur in virtù di un “compromesso” alle spalle della legalità, ne esce come terra dove la burocrazia è meno tremenda del previsto. Un regista sempre più politico, di denuncia, che non esita a dire la propria senza remore né timori. Il prigioniero coreano (The Net) avvinghia, interrogandoci sulle storture del sistema in cui viviamo, sia esso al Sud o al Nord. E in questo atto d’accusa Kim Ki-duk riesce nel “miracolo”: unificare le due Coree, sotto la triste nomea e rappresentazione della sicurezza nazionale, per la quale, tramite un uso della violenza che tutto piega e tutto equipara, non c’è differenza alcuna tra pecore e lupi, spie e comuni cittadini. Senza dubbio il migliore Kim Ki-duk degli ultimi anni.

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Il prigioniero coreano di Kim Ki-duk: recensione ultima modifica: 2016-09-04T13:12:51+02:00 da Tommaso Tronconi

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