The Taste of Money è una vera e propria tragedia greca contemporanea. Il perché è evidente sin dalla trama, intricata e sensuale.
Un vecchio e ricco presidente di una multinazionale tradisce l’anziana moglie con la procace domestica filippina. La ricca ereditiera sfoga la propria frustrazione sessuale sul giovane scagnozzo Young-jak, il quale, però, ha un debole per la domestica e non degna di uno sguardo la giovane e svampita figlia di famiglia di lui invaghita. La polveriera è dunque servita ed esploderà nella più tremenda vendetta una volta scoperta la sex story tra il presidente e la bella filippina. Insomma, aria chiusa e pesante per un’opulenta famiglia di Seul.
In un habitat ancor più asfittico e alienato di quello visto in The Housemaid, girato nel 2009 sempre da Im Sang-soo, con arredi specchiati e patinati da Ikea d’alto borgo e una percezione del tempo sempre più ovattata e siliconata, in The Taste of Money si muovono personaggi di ceramica, impotenti ma predisposti alla vendetta. Una galleria di “tipi” semoventi in un microcosmo kitsch che, a lungo andare, sconfina nel fetish, nel disgustoso. Una dolce vita che è libidine da soddisfare in un perverso “gioco” di mors tua vita mea, di bamboline manovrate dal virtuoso e virtuosista burattinaio di turno (il regista), che estremizza il dramma fino a mutarlo in tragicomica risata, proprio come quella non più contenibile da Young-jak nel vedere l’anziana donna “confessare il proprio peccato” alla figlia, ora sua fidanzata.
Insomma, The Taste of Money procede per aggiunte ed eccessi, nei quali la bizzarria più profonda e cosciente trova degno esito in un finale dove, col beneficio del dubbio, i morti sembrano, o potrebbero, non essere tali.