Recensione di The Warrior’s Way di Sngmoo Lee.
“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con la katana, quello con la pistola è un uomo morto”. Parafrasando la celebre frase di Per un pugno di dollari di Sergio Leone, si può cogliere l’essenza di The Warrior’s Way di Sngmoo Lee, ossia un wuxia western ad alto contenuto di effetti speciali e acrobazie, che in perfetto stile orientale è capace di mischiare con eclettismo i generi e di omaggiare, con soluzioni sempre arrotondate per eccesso, il genere western, sia americano che all’italiana.
Protagonista della storia è un sicario asiatico, che dopo anni di assassinii, riesce a trovare pace, soddisfazione e anche l’amore in una piccola città western dimenticata, situata in prossimità del deserto. Ma l’incontro con un neonato, una giovane donna e un colonnello sfregiato non gli permetteranno di chiudere i conti col proprio passato, che improvvisamente torna alla ribalta con un esercito di guerrieri in nero e un’accusa di alto tradimento.
The Warrior’s Way, prodotto dal premio Oscar Barrie M. Osborne, è l’opera prima del regista coreano Sngmoo Lee dopo cinque anni passati ad insegnare il mestiere alla New York Film School. E il passaggio dal “dire” al “fare” può dirsi nel complesso riuscito. Certo fa gioco avere un cast importante dove, di fianco al protagonista d’origine coreana Jang Dong-gun (No Tears for the Dead, Taegukgi: The Brotherhood of War), spiccano nomi come Geoffrey Rush e Danny Huston. Ma questo non sminuisce i meriti da attribuire al regista. Tanto che, sebbene la parte di Danny Huston sia di peso (è uno dei cattivi più interessanti degli ultimi anni!), quella di Geoffrey Rush è assolutamente minore e marginale (ergo il maggior traino sta proprio nel nome stesso dell’attore a fini commerciali!).
Sngmoo Lee mescola cappa e spada, western americano e spaghetti western in un pastiche che omaggia ciascuno dei tre riferimenti, con un forte dosaggio di computer grafica al limite del fumetto più definito e del videogioco più ricercato. The Warrior’s Way non ha paura di esibire, anzi lo fa a piene mani. Cita La foresta dei pugnali volanti, The Grandmaster, Django di Corbucci, Sukiyaki Western Django, C’era una volta il West, C’era una volta in Messico e tanti altri. Richiami e occhiolini che non tolgono personalità al prodotto finale, ma ne aggiungono, poiché ben amalgamati, anche grazie ad una colonna sonora che salda il tutto con precisione.