Recensione di White Building (Bodeng sar) di Kavich Neang.
Un antico palazzone presto in demolizione, un padre che non ne vuole sapere di curarsi un piede mangiato dal diabete, un giovane che vorrebbe fare il ballerino, i sogni delle nuove generazioni che si scontrano con una realtà inchiodata alle tradizioni e ad un immobilismo che pare non lasciare scampo.
White Building (Bodeng sar) del cambogiano Kavich Neang è un film che, come molto cinema orientale, si confronta con quel duro faccia a faccia che è la transizione verso la modernità, verso quello che chiamiamo progresso in nome del capitalismo che non tiene conto del futuro dei giovani, ridotti a numeri senza anima schiacciati da un dio denaro che vince su ogni cosa.
Il giovanissimo regista, classe 1987, per il suo esordio al film di finzione trae spunto da un fatto realmente accadutogli: lo sfratto subito dalla sua famiglia nel 2017 nella sua città natale, Phnom Penh, dallo storico complesso residenziale White Building. Al posto degli appartamenti è sorto un casinò, simbolo della brutta piega capitalistica intrapresa dalla Cambogia proprio come dalla vicina Cina.
White Building (Bodeng sar) fotografa il presente di un Paese che è frutto di un passato travagliato ma anche specchio di un futuro privo di immaginazione, slancio, speranza per i giovani, costretti a mettere da parte, o almeno in pausa, i propri sogni, desideri, voglie di riscatto, libertà e salvezza di fronte ad una Economia che si fa Storia con la presa rapida del cemento armato.
Il giovane interprete Piseth Chhun, nei panni del protagonista Samnang, si è aggiudicato il premio come Miglior Attore della sezione Orizzonti della 78esima Mostra del Cinema di Venezia. Un riconoscimento che va ad una performance che procede per sottrazione, minimale, sfrondata da ogni eccesso, dove anche le emozioni più cocenti ed esplosive vengono trincerate e soffocate dietro un’apparente indifferenza e impotenza.