Recensione di Ying (Shadow) di Zhang Yimou.
L’uomo e il suo doppio. L’uomo e la propria ombra. Topos vecchi come il mondo, ma sempre attuali, assolute costanti lungo il tutto corso della Storia, sia essa reale o inventata. Ying (Shadow) di Zhang Yimou sceglie di trattare il tema delle ombre, dei sosia di sovrani e regnanti che entrano in gioco quando una situazione si fa così critica da mettere in pericolo la vita del vero reggente.
Yimou rimane fedele a tutto il suo cinema più recente, quello degli anni Duemila: gli spettacolari cappa e spada che lo hanno reso celebre dopo i film più intimi e di stampo sociale degli anni Novanta. Dopo Hero, La foresta dei pugnali volanti, La città proibita, e potremmo citarne altri, continua su questo filone gigantista e imponente con una sorta di ennesima variazione sul tema. Con Ying vira su un’ambientazione più fantasy e un intreccio dal forte sapore shakespeariano. C’è quindi del trito e ritrito nel film presentato fuori Concorso al 75esimo Festival di Venezia, se non fosse per l’appiattimento di tutti i colori su ammalianti sfumature di grigio fuligginoso, come fosse un enorme disegno/affresco a china. Un risultato cromatico ottenuto non in post-produzione o color correction, ma “applicato” direttamente su scenografie e costumi. Insomma, un dispiego di mezzi non indifferente, perfettamente in linea col modo di “fare cinema” magniloquente del regista cinese.
Ying conferma inoltre la dicotomia “tipica” dei film di Yimou, ossia dialoghi non sempre all’altezza della storia raccontata e, in controcanto, una cura estetica e una spettacolarità nelle scene di battaglia che lasciano senza fiato (in particolare la danza/battaglia degli ombrelli affilati è qualcosa di mai visto prima).
Insomma, Ying non aggiunge nulla alla filmografia del noto regista cinese, configurandosi come un film che, dietro la “maschera” del “grande spettacolo”, lascia ben poco.