Recensione di Zombie contro Zombie (One Cut of the Dead) di Ueda Shinichiro.
Sembra stupido ma non lo è. Perché c’è del metodo nella sua follia.
Zombie contro Zombie (One Cut of the Dead) di Ueda Shinichiro è uno di quei film che nascono cult. E non è da tutti. Soprattutto nell’enorme calderone dei film sugli zombie, sotto-genere che è stato letteralmente saccheggiato, non solo dal cinema americano, ma dalle cinematografie di tutto il mondo.
Un film nel film. Meta-cinema e zombie movie tra lo splatter e il demenziale. Con una bella dose di auto-ironia e altrettanta di intelligenza. Zombie contro Zombie (One Cut of the Dead) è un taglio netto rispetto a tanti film del genere visti negli anni. È una vera ventata di novità, non a caso proveniente dal Giappone, cinematografia che più volte ha dato il “la” per conferire nuovo lustro e slancio soprattutto nel campo dell’horror. Tre film in uno, o meglio lo stesso film raccontato da tre prospettive diverse, distinte e consanguinee, come una ripresa che si allontana sempre un passo in più per mostrarci ciò che si nasconde “dietro” a un film.
Prendendo in giro i system televisivo e cinematografico, ma senza esagerare, anzi con un certo rispetto e bonarietà di fondo, una spregiudicata e anticonformista lezione cinema, che gronda (oltre al sangue!) amore purissimo per la settima arte. Una perla abbagliante che riflette e mette in luce non solo la natura stessa del cinema, ma tutte le difficoltà che si nascondono dietro quel film che noi vediamo seduti comodamente.
Un piccolo grande film che ha saputo fare di necessità virtù, senza lesinare in quanto a trovate geniali e tocchi stilistici che rimangono impressi. Girato con un budget di soli 27mila dollari, ottenuti anche ricorrendo ad una campagna di crowfunding, il film, solo in Giappone, ha incassato oltre 20 milioni di dollari. Nei festival internazionali è stato poi premiato e amato da pubblico e giurie, riscuotendo un plebiscito di consensi.
Dal punto di vista registico impressiona il lungo piano sequenza iniziale, della durata di ventisette minuti, che è solo l’anticamera verso le abilità di un cineasta poliedrico e versatile, Ueda Shinichiro, classe 1984, del quale sentiremo ancora parlare.